Domande al M° Saffioti Mirko
Poco prima che si manifestasse la pandemia Covid-19, ho avuto il piacere di fare delle domande sul karate al M° Saffioti, il quale molto gentilmente ha risposto con parole chiare, semplici e soprattutto piene di interesse e valore. Ecco, di seguito, le sue risposte che meritano di essere lette.
Come prima domanda, visto che su internet il suo cognome si trova scritto in due modi, qual è giusto Saffiotti o Saffioti?
Buongiorno, so che molti hanno storpiato il mio cognome, ma diciamo che ormai ci sono abituato! Mi chiamo Mirko Saffioti, con una sola “T”.
Qual è il primo pensiero che una persona dovrebbe avere pensando al karate?
Per una persona che non ha mai praticato karate, penso che il primo pensiero o immagine, sia legato ai numerosi film che sono girati negli anni in tv. Per un praticante, mi piace pensare a questa immagine: il mare. Il mare è immenso, a occhio nudo si vede un orizzonte e sembra finire lì, ma sappiamo che continua, come per il karate, possiamo porci dei piccoli o grandi obiettivi, ma non appena questi sono stati raggiunti ci accorgiamo che quello non è che l’inizio di un nuovo obiettivo. A tutti i livelli, il karate può essere divertente e superficiale ma anche profondo sotto molti aspetti di ricerca, sia a livello tecnico che a livello spirituale. Come la varietà di pesci nel mare, il karate ha molti stili (il più diffuso è lo stile Shotokan), ma se contassimo tutti i praticanti del mondo, in tutti gli stili, so che sarebbe tra i 10 sport più praticati.
Con i ritmi frenetici che oggi la vita quotidiana propone, il karate può essere un modo per prendere consapevolezza di sè e per capire cosa stiamo facendo?
Quando parlo di karate, mi riferisco al Karate Tradizionale del Maestro Hiroshi Shirai, perché è quello che pratico. Questo tipo di karate ha come obiettivo il miglioramento della persona attraverso la consapevolezza dei propri mezzi, attraverso un’acquisizione tecnica e di autocontrollo, e attraverso la maturazione del rispetto di sé stessi e degli altri. Praticando con un certo atteggiamento si entra in modo graduale in una filosofia trasferibile anche al di fuori del “dojo” (luogo dove si pratica) e che può essere utile nella vita quotidiana. Per quanto riguarda i ritmi frenetici non saprei, credo si tratti proprio del ritmo della vita odierna, cosa dalla quale siamo tutti travolti. Però, quando si entra nel “Dojo“, bisogna essere pronti a staccare la spina da tutto il mondo esterno e dedicare almeno 1 ora a sé stessi.
In che modo si è reso conto che il suo livello si stava alzando e che quello che stava facendo era la via giusta?
Ce ne si rende conto in automatico, con l’andare del tempo. A livello sportivo è più facile perché si hanno i risultati e gli appuntamenti a fornirci obiettivi e stimoli. Io penso che per sapere di essere sulla via giusta, di aver intrapreso il percorso corretto, serva tempo per accorgersi che quell’attività ci fa stare bene, che è diventata parte di noi, che sentiamo la necessità di praticarla.
Lo sforzo fisico è notevole, ma la testa è tutto, in qualsiasi sport ed in qualsiasi fatto della vita. Nei momenti di vera difficoltà, quale può essere un pensiero o un modo per uscire dal periodo negativo?
Ho sempre pensato che la relazione tra fisico e spirito o testa sia al 50%. Ciò vuol dire che se una persona vuole allenarsi sempre al massimo, occorre che sia disposta a metterci il 100% di impegno fisico e il 100% di impegno mentale. Un atleta di alto livello sa che ogni risultato è figlio di un grosso impegno e di tanto sudore e sacrificio, quindi è a conoscenza che il momento negativo, che sicuramente arriverà, si supera con il lavoro e soprattutto pensando che è un momento per l’appunto; una volta passato verrà ricordato come un momento di crescita, quasi sorridendoci sopra.
Indipendentemente dalla disciplina, quali sono i 3 valori, secondo lei, che dovrebbe avere un atleta e persona che pratica karate?
LIMPIDEZZA D’ANIMO: inteso come essere puliti e sinceri, altruisti e generosi
SPIRITO DI SACRIFICIO: avere uno spirito forte, capace di lavorare e sudare, forza di volontà e desiderio di crescita
CUORE: un gran cuore, tanto da sapersi dedicare alla causa scelta con perseveranza
Essere considerati uno dei M° più forti e preparati nel mondo del karate è una grossa responsabilità ed arrivare al massimo livello è cosa per pochi. Lei pretende ancora molto da sé stesso? Si mette sempre sotto esame?
Quello che dice mi lusinga, ma non credo di esserlo e non sapevo di essere considerato in questo modo. Accanto a me ci sono Maestri più grandi e di livello superiore, con i quali mi alleno tentando di imparare il più possibile, in modo da poterli eguagliare o superare. Il mio obbiettivo è di praticare sempre al mio massimo, mai di meno rispetto al giorno precedente; spero che con il tempo, guardandomi indietro, mi troverò migliore. Credo che non ci si senta mai arrivati!
Pensa che nella scuola italiana, a partire dalle medie, si dovrebbe insegnare il karate o bisognerebbe farlo solo nel Dojo?
Penso di sì, andrebbe insegnato; ci vorrebbe però un’organizzazione che scegliesse gli insegnanti opportuni, perché nel mondo delle arti marziali ci sono anche molti individui poco professionali o preparati che rovinano l’immagine di quello che è un ottimo strumento educativo. Inoltre abbiamo l’esempio del Giappone, dove nelle scuole, fino all’università, il karate è presente e i risultati a livello sociale ed educativo sono evidenti. Un aneddoto in questo senso riguarda l’ultimo Campionato Mondiale di Calcio, in Russia: la squadra del Giappone, uscita dalla competizione, ripulì alla perfezione lo spogliatoio assegnatoli come segno di ringraziamento e rispetto per la manifestazione.
Il peggior nemico che abbiamo siamo noi stessi. In che modo il karate può aiutare a migliorare il nostro io?
L’Ego fa parte della natura dell’uomo. Il lato buono di questo (la tenacia, la perseveranza, la determinazione nel raggiungere l’obiettivo) può essere un ottimo stimolo di crescita se bilanciato bene con la modestia. Il karateka sa che in ogni istante avrà la necessità di riempire, imparare e colmare la mente e il corpo di informazioni, emozioni, tecniche, per poi riuscire a svuotare tutto nel momento determinante, lasciando che le cose studiate emergano spontaneamente. Per svuotarsi però, occorre lasciare la mente libera dai pensieri, sgombra. Per sconfiggere noi stessi il mezzo è allenarsi tanto, fare tante esperienze, preparare e lasciare la mente aperta, tentando in questo modo di evitare gli errori fondamentali.
Qual è, se esiste, la differenza fra avere un allenatore come nel calcio, basket ed avere un Maestro come nel karate?
Non ho mai fatto calcio o basket a livello sportivo (come tutti mi sono divertito con amici giocando per diletto), quindi non conosco e non so dare una risposta riguardo. Forse un aspetto diverso tra il Karate e gli altri sport è che il Karate è una disciplina prima ancora che uno sport. Il fine ultimo del Karate non è il divertimento, ma il miglioramento e l’educazione della persona attraverso un’attività motoria, quindi, tutte le tipologie di persone, anche le meno dotate fisicamente o predisposte all’attività, posso giovare e godere degli insegnamenti, perseguire i propri obiettivi, costruirsi e seguire un proprio percorso sia fisico che spirituale, emozionale ed esperienziale, cosa che, soprattutto nel Calcio, non accade perché in campo vanno solo gli 11 elementi migliori.
Nel karate, a differenza di molti sport, esiste anche il combattimento. Essere davanti ad un altro atleta che vuole batterti non è semplice, quali sensazioni si manifestano prima del combattimento? Quali pensieri elabora la testa prima di passare all’azione?
Durante l’allenamento quotidiano, attraverso il kihon (studio della forma) si allenano le tecniche in modo completo, con tutta la velocità e la forza necessari per raggiungere la massima efficacia, con il fine di imparare a difendersi. Poi durante gli esercizi a coppia, si allenano gli stessi principi con il bersaglio, inizialmente fermo, poi, mobile. La tecnica deve essere portata con il tempo, la velocità e la forza corretta, la posizione stabile. Questi “parametri“ garantiscono la massima efficacia, ma non potendo ovviamente affondare i colpi (non abbiamo protezioni e ci alleniamo a mani nude appositamente) occorre imparare e maturare il controllo.
Il controllo è un argomento molto complesso e importante. Si parla di controllo della tecnica, delle emozioni e di conseguenza di noi stessi. Occorre tempo e anni di pratica per arrivare a portare una tecnica con il massimo di velocità, forza e con il giusto tempo, riuscendo in questo modo a colpire l’avversario senza creare danno: questo è controllo. A questo punto il combattimento sportivo, non prevedendo il KO (anzi la sanzione in caso di incidente minore o squalifica in caso di incidente grave), diventa fondamentalmente una partita a Scacchi, dove il più bravo, astuto e scaltro vince. Quindi la testa è concentrata ma libera proprio per poter sfruttare ogni apertura dell’avversario (ogni momento in cui vi è la possibilità di andare a bersaglio), sfruttando tutte le strategie possibili…. Diciamo che la testa diventa un tutt’uno con il corpo, dove l’aspetto emotivo è importantissimo in quanto comunque sia si combatte, e l’attenzione al non essere colpiti ci deve essere sempre. Sicuramente l’aspetto predominante è l’istinto, il sapersi adattare rapidamente a una situazione che è in continuo mutamento (cogliere l’attimo): gli atleti di alto livello sembra che “ragionino con i pugni “, cioè che le tecniche partano in modo così improvviso ed esplosivo, che pare impossibile che sia la testa a comandare tutto.
Mente e corpo: entità separate o unite? Cosa ne pensa a riguardo?
Sono fermamente convinto che siano un tutt’uno. Vedo che anche in altri sport utilizzano la preparazione mentale, aggiungendo alla componente tecnica anche la parte emotiva e di testa per ottenere il miglior risultato. Questo nel karate è presente fin dall’inizio, studiare la tecnica, anche negli esercizi di base, implica immaginare l’avversario, vivere quella situazione per poter eseguire il movimento con la corretta tecnica e atteggiamento necessari per poter difendere e contrattaccare. Ad un certo livello tecnico è fondamentale che il proprio corpo sia un tutt’uno formato dalla testa (atteggiamento), dalla pancia (“hara”, dove si concentra la forza nelle arti marziali) e dagli arti (intesi come tecniche).
L’esempio che fa spesso il mio Maestro è il seguente: un grande albero forte, come una vecchia quercia, con radici fortissime e un tronco alto e robusto con in alto dei rami; la tecnica di karate deve nascere dal basso, dall’hara (pancia) come se con una gran forza il tronco vibrasse e i rami potessero diventare fruste!