Intervista nell’anno 2000 al M° Perlati: concetto attuale ancor oggi.
Di seguito una interessante intervista rilasciata dal M° Perlati nel lontano anno 2000, che esprime la sua idea sul karate in maniera chiara e lineare.
Quello del karate è un grande movimento. Il karate è disciplina, un’arte veramente eccezionale.
Un ragazzo cerca una palestra con determinate caratteristiche cerca e le scarta tutte fino a che non incontra un dojo di karate tradizionale. Il karate ha molti pregi: è simmetrico, e non tutte le discipline lo sono, quindi si fa già una cernita. Il karate usa braccia e gambe, può essere praticato individualmente o in gruppo, e anche questo esclude altri sport. Può essere fatto senza attrezzature, a piedi nudi o con le scarpe. Il karate presuppone un avversario, oppure no; si può farlo per autodifesa. Possono praticarlo assieme bambini,anziani, uomini e donne. Non conosco altre discipline, se non quelle similari, che offrano questa varietà.
Ma quello che secondo me rappresenta il punto fondamentale del nostro karate è il Kime. I maestri Kase e Nishiyama insistono proprio sul concetto di ” Finishing Blow”, colpo definitivo, perché questa è la parte importante, quella che fa cambiare il modo di praticare. Il lavoro mentale, il lavoro su di sè è essenziale. Se si pratica pensando sempre che ci sia tempo per recuperare si ha un atteggiamento mentale di un certo tipo, ben diverso da chi pratica pensando che ogni imprecisione potrebbe portare alla morte.
Faccio un esempio: quando da piccoli giocavamo alle spade, coi bastoncini, cercavamo di divertirci, senza farci male. Era un gioco. Ma se il bastoncino fosse un bastone usato con intenzione, si sta di colpo più attenti, no? E se il bastone fosse un boken, un arma talmente dura da uccidere? E se fosse una spada e il primo a colpire sopprime l’altro? L’atteggiamento cambia profondamente. Nel karate, se il combattimento è fatto ridendo, si riduce ad una serie di gesti fisici; se la stessa serie di gesti fisici si esegue con un altro atteggiamento, pensando che si potrebbe morire, tutto cambia. Questo è il principio del karate tradizionale.
Altre arti hanno delle somiglianze: nella calligrafia giapponese, ad esempio, un conto è se si possono buttare via i fogli ad ogni macchia. E se invece non si potesse? Se ci fosse qualcuno a controllare, con un bel bastone? Prima di mettere il pennello sopra il foglio, ci si preparerebbe bene, prima. Magari si comincerebbe a pensarci la notte prima, od ad allenarsi di nascosto. E si arriverebbe con la stessa carta, lo stesso pennello ma con un modo di fare diverso. Si toglierebbe tutto il superfluo.
Oggi succede il contrario. La società ci riempie di cose inutili, illudendoci di farci felici. Invece si tratta solo di successo. La felicità è togliere il superfluo, andare all’essenziale. Le arti marziali offrono questo. Fanno capire ciò che si vuole, chi si è, cosa si ha dentro. Le arti marziali hanno un enorme ritorno psicofisico. I samurai, che le praticavano, acquisivano delle qualità indiscutibili perchè ogni giorno mettevano in gioco la loro vita. Se si è pronti a morire ogni giorno, allora si fa su se stessi un lavoro speciale, sia fisico che mentale. E bisogna essere sempre pronti. In palestra ci si mette di fronte, si fa il saluto e ci si mette in kamae (guardia): da li si comincia ad essere pronti. ma non confondiamo il saluto con qualcos’altro.
Nel karate non c’è niente di superfluo, nessun vuoto rituale: si tratta sempre di autodifesa, di budo. Quando si esegue una tecnica bisogna farlo pensando alla propria vita. Si entra in palestra per essere pronti; se si è pronti nello spogliatoio è meglio, se si è pronti prima di andare nello spogliatoio è ancora meglio, se si è sempre pronti allora l’atteggiamento mentale è quello delle arti marziali. Se si è pronti a morire, pronti a difendersi.
Tutto cambia, allora si impara a guardare in maniera diversa: guardare diritto ma vedere tutto intorno, tutti i particolari. Cambia davvero tutto: si può ridere ma essere seri dentro. Si può apparire duri ma essere rilassati: essere in un modo, fuori, e un altro dentro. Il karate sportivo ha molte qualità ma non c’entra più niente con l’arte marziale. Nello sport c’è il tempo, diceva il maestro di Shoto Zen Deshimaru; nell’arte marziale c’è l’istante. Il tempo è possibilità di recuperare. Nell’arte marziale ci sono la vita e la morte: siamo vivi adesso ma fra un secondo potremmo non esserlo più, perchè basta proprio un attimo per morire. La vita è sempre in gioco: bisogna avere quest’atteggiamento mentale.
Se si cammina su una riga disegnata a pavimento, lo si fa tranquillamente, senza timore e senza attenzione; ma se la riga è sollevata a dieci metri da suolo?
Si deve avere lo stesso atteggiamento menatale che si avrebbe camminando nel vuoto quando invece si cammina sulla riga della palestra. Come? Immaginando di essere a dieci metri d’altezza. Questa è la grande intuizione del karate: immaginare l’avversario durante il kata, durante l’esecuzione delle tecniche: non si può colpire al massimo quando hai un compagno davanti, perchè bisogna usare il controllo. Invece si può dare il massimo nel kihon (tecniche fondamentali) e nel kata (forma), immaginandosi l’avversario.